Intervento di Marco Salvadori, consigliere di Per Sesto, durante il consiglio comunale di mercoledì 12 maggio 2021
Mentre l’umanità tenta di uscire da questo periodo di enorme difficoltà legata alla pandemia da Covid 19, dovremmo iniziare a porci alcune domande su quelle che sono, e soprattutto saranno nei prossimi anni, le conseguenze di carattere sociale: sì perché la pandemia non è solo la più grande emergenza sanitaria del secondo dopoguerra, ma trascina al suo interno numerosi effetti socio economici.
Al di là delle categorie storicamente a rischio quali possono essere quelle a cui appartengono le famiglie numerose con figli minori, i disoccupati, ecc…, la crisi pandemica colpisce anche gli occupati, le donne, i giovani. Categorie, queste ultime, che erano apparentemente al riparo da condizioni di privazioni prima dell’emergenza COVID.
Questo altissimo rischio di ulteriore precarietà nel mondo del lavoro dipendente e della piccola e media impresa rischia di creare nuove povertà post pandemiche, che vanno a sommarsi a quelle già esistenti.
Sul fronte del lavoro, al fine di evitare l’impatto sociale ed economico di un boom di licenziamenti, il Governo ha rinnovato la proroga della cassa integrazione ed il blocco dei licenziamenti.
Lo stop di procedere a licenziare i lavoratori purtroppo rimasti a casa a causa della chiusura delle attività lavorative, era stato previsto immediatamente nel mese di marzo 2020 con il “Decreto Cura Italia”: la ratio del “blocco” dei licenziamenti si rinviene nel fatto che le ragioni economiche ed organizzative non sono dettate dalle ordinarie logiche di mercato, ma da un’emergenza sanitaria mondiale, con conseguente chiusura delle attività produttive non essenziali.
Ma cosa succederà dopo? Quale sarà il reale impatto sociale dello sblocco dei licenziamenti? Quali saranno le ricadute sul nostro territorio?
Domande a cui è complicato dare una risposta oggi ma, come auspicato anche dal Presidente della Repubblica Mattarella nel conferire l’incarico di formare il nuovo governo a Mario Draghi, serviranno decisioni e provvedimenti drastici, adeguati e tempestivi di tutela sociale visto che, nonostante questo provvedimento in vigore da oltre un anno, nel corso del 2020 si sono comunque persi quasi 500.000 posti di lavoro rispetto all’anno precedente.
Nessuno sa cosa succederà al momento dello sblocco: non lo sanno i sindacati, le imprese e nemmeno il governo, e per il momento tutti si trincerano dietro alla considerazione che molto dipenderà dalla situazione effettiva a quella data: se la campagna di vaccinazioni fosse in fase molto avanzata, se le restrizioni fossero cadute o attenuate, se la congiuntura economica “volgesse al bello”; la sensazione è che saranno centinaia di migliaia i lavoratori che si troveranno senza occupazione, e che tale disastro colpirà maggiormente chi ha meno tutele, soprattutto donne e giovani.
La capacità del nostro “sistema paese” di riuscire a sostenere chi non avrà più un lavoro sarà solo un lato della medaglia. L’altro lato sarà quello di aiutare chi ha perso la propria occupazione di trovarne un’altra nel breve futuro.
E qui entra in campo il tema delle politiche attive del lavoro: nella proposta di Recovery plan, ci dovrebbero essere oltre 12 miliardi di euro dedicati alle “Politiche per il lavoro”, quasi la metà delle risorse della missione “Inclusione e Coesione”: nello specifico, alle politiche attive per il lavoro e al sostegno dell’occupazione dovrebbero essere riservati circa 7,5 miliardi di euro, mentre altri quasi 4,5 miliardi alle agevolazioni fiscali per le assunzioni al Sud e di giovani e donne. Tra i vari impegni contenuti nel piano, si vorrebbero riformare i centri per l’impiego, con l’istituzione del programma nazionale “Garanzia occupabilità dei lavoratori”, e riorganizzare la formazione dei lavoratori occupati e disoccupati, oltre al sostegno all’imprenditoria femminile.
Purtroppo ancora non è noto come e quanto gli enti locali, in particolare i Comuni, potranno essere parte attiva in questo processo, ma sicuramente saranno chiamati a gestire in prima persone le difficoltà generate dalla crisi economica legata alla pandemia.
Credo che in ogni caso sia necessario, anche facendo leva sulle risorse in arrivo grazie al Recovery Plan, che le istituzioni a vari livelli rivolgano le loro attenzioni su una revisione delle politiche sul lavoro rispetto a quanto visto negli ultimi 30 anni:
– Eliminazione delle forme contrattuali più precarie (attraverso l’applicazione di una fiscalità più onerosa rispetto a quella prevista per i contratti “stabili”)
– Introduzione di un salario minimo per i lavoratori non coperti a questo fine dai contratti nazionali
– Riforma della normativa sull’assegnazione degli appalti con gare al massimo ribasso che producono condizioni di lavoro particolarmente dure
– Revisione delle normative che regolano il lavoro festivo, notturno e h24/7
– Superamento delle discriminazioni cui è tuttora soggetto il lavoro femminile, con la riduzione delle barriere all’ingresso e alla permanenza nel mercato del lavoro che derivano dalle condizioni familiari e dalla cura dei figli
– Previsione di sanzioni per le imprese che delocalizzano gli impianti avendo ottenuto agevolazioni, detassazioni e contributi pubblici
– Superamento del blocco del turnover nel pubblico impiego favorendo l’assunzione di giovani
– Valutare la possibilità di introdurre sanzioni per le imprese che non rispettino standards adeguati in tema di tutela dell’ambiente
La sfida che attenderà il nostro Paese, ma più in generale l’Europa, nei prossimi anni sarà molto complicata: occorrerà una visione nuova per prospettare un rilancio economico reale, privilegiando la tutela del lavoro dipendente, del lavoratore autonomo e della piccola media impresa, soprattutto su un territorio come il nostro dove queste componenti rappresentano la linfa vitale del nostro sistema economico.
Ma nella nostra visione non ci possiamo accontentare, passatemi il termine, che il lavoro sia solamente stabile; il lavoro deve essere anche SICURO, nella fattispecie di garantire ai lavoratori le condizioni che evitino incidenti che, in alcuni casi, si rivelano fatali.
La recente morte di Luana D’Orazio, l’operaia tessile di 22 anni che alcuni giorni fa è rimasta schiacciata in un macchinario nell’azienda di Prato dove lavorava, è l’ennesimo episodio di morte sul luogo di lavoro.
Secondo i dati Inail, nei primi tre mesi del 2021 le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate all’Istituto sono state 185, 19 in più rispetto alle 166 denunce registrate nel primo trimestre del 2020 (+11,4%): l’Inail ha registrato oltre 2 morti al giorno sul lavoro nei primi tre mesi dell’anno; se prendiamo l’intero 2020, gli infortuni con esito mortale sono stati 1.270: se dividiamo 1.270 per 365 otteniamo 3,47, il che vuol dire che l’anno scorso nei cantieri, nelle fabbriche, negli ospedali, sono morte tra le 3 e le 4 persone ogni giorno, con un aumento di 181 casi rispetto ai 1.089 registrati nel 2019 (+16,6%): indicazione di un trend, purtroppo, in costante crescita.
Prevenzione e formazione devono quindi diventare una strategia e una scelta politica, con più risorse per mettere in sicurezza i processi produttivi e con più ispettori, più controlli e un coordinamento degli interventi; e allora ben vengano le proposte che vincolino le risorse per l’innovazione che verranno erogate alle aziende anche attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza all’adozione di misure sulla sicurezza attraverso le tecnologie 4.0 più avanzate e ad una corretta organizzazione del lavoro.
Solo attraverso un vero sostegno al lavoro, sia in termini di stabilità che in termini di sicurezza, accompagnato dal completo superamento dell’emergenza sanitaria, potremo creare i presupposti per garantire un futuro alle prossime generazioni